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Viaggio lungo il fiume Po

Viaggio lungo il fiume Po

Articolo e fotografia di Gigi Montali

Un viaggiatore ha sempre voglia di conoscere cose nuove, di scoprire nuovi luoghi, ma spesso è vicino a noi che ci sono le cose più belle.

Ho scelto di seguire il percorso del grande fiume e di fotografare il paesaggio dei sapori, lungo il grande Fiume penso che si possano trovare tante unicità gastronomiche è importante non perderle e non perdere la bellezza del paesaggio che le produce.

Come scriveva il grande Tiziano Terziani “ i fiumi mi hanno sempre attirato. Il fascino è forse in quel loro continuo passare rimanendo immutati, in quell’andarsene restando, in quel essere una sorta di rappresentazione fisica della storia, che è, in quanto passa. I fiumi sono la Storia”.

In questa frase credo ci sia tutta la descrizione di un fiume come il Po.

Il progetto nasce dall’idea di un viaggio lungo il Po cercando delle memorie del gusto, un gusto da assaporare ma anche da guardare, la ricerca di un paesaggio agricolo in continua trasformazione come i prodotti che “nascono” nei pressi del grande fiume.

Un fiume amato temuto e spesso domato dalle persone che lo abitano, c’è sempre un filo sottile che unisce le persone

al fiume stesso, questo lo si coglie fermandosi ad ascoltare le storie che essi ti raccontano.

La cultura dell’uomo è sempre e sempre sarà legata al territorio ed ai suoi prodotti, per questo motivo lungo il percorso ci siamo fermati alla ricerca delle tipicità locali. I sapori che nascono lungo il grande fiume denotano sempre l’importanza del fattore umano, presente a scandire lo scorrere del fiume, volti e mani in cui si legge la fatica di lavorare la terra ma si vede la gioia di vivere a contatto con il grande Fiume.

Il viaggio inizia a Pian del Re dove sorge il Po, oggi il Monviso sembra nascondersi dietro le nuvole, tra qui e il Pian della Regina, di poco più basso, si incontrano i primi alpeggi, le frisone vengono portate in quota in primavera e riportate a valle prima dei freddi autunnali.

In questo tratto il percorso del Po è torrentizio, sembra inverosimile che questo ruscello diventerà il grande fiume.

E’ qui che incontriamo il sig. Gianfranco Abbà con la madre Matilde che aiutati dai familiari, allevano i bovini portandoli ai pascoli e mungendo il saporito latte ogni mattina. Dentro una vecchia malga ristrutturata producono il Nostrale d’Alpe che vendono presso l’alpeggio. Il sapore è intenso, il formaggio è profumato porta con se tutto l’ambiente intorno. Gianfranco mentre prepara le due forme mattutine, ci racconta di come è dura fare questo mestiere, ci spiega tutti i segreti del suo lavoro dove l’importanza della manualità nel lavorare il caglio è fondamentale, prima ancora di metterlo in forma lo si impasta; arriva la signora Matilde che inizia a far fretta al figlio ricordandogli che dopo bisogna andare a spostare le mucche dal pascolo.

Arriviamo a Chivasso, è qui che inizia Il Canale Cavour una grande opera realizzata tra il 1863 e il 1866, ideata dall’agrimensore vercellese Francesco Rossi e riprogettata dall’ispettore delle finanze Carlo Noè, per incarico di Camillo Benso Conte di Cavour. Per poter irrigare le campagne Vercellesi.

Qui abbiamo una piacevole sorpresa, grandi specchi d’acqua dove viene coltivato il riso, le più estese coltivazioni a livello Europeo. Si incontrano anche le grandi cascine, trattasi di fattorie simili a piccoli villaggi che oltre alle abitazioni per i contadini dispongono di una chiesa, un cimitero e un’osteria.

 

Costruite e sviluppate in base ai parametri delle zone agricole coltivate a riso, dal XII secolo vennero sostenute dai monaci Cistercensi, fondatori anche di vari comuni nei dintorni.

Lasciamo le risaie del Vercellese attraversiamo il Po passiamo sulla riva destra, utilizziamo il ponte che porta a Verrua Savoia. Quello di Verrua Savoia è il più antico ponte sul Po superstite nell’intero tratto di fiume compreso tra Torino e Valenza (gli altri ponti sono stati tutti distrutti durante la seconda guerra mondiale o a causa delle alluvioni e in seguito riedificati, per lo più in forme moderne). Il ponte di Verrua mette in collegamento le colline del Monferrato con Crescentino e la pianura vercellese. La struttura fu edificata in laterizio nel 1898, attraversato il ponte ci troviamo nel basso Monferrato, in quest’area si produce il Rubino di Cantavenna, l’area di produzione è molto ristretta.

Terra di vigneti e tartufi, il Monferrato è ricco non soltanto di cultura e di storia: l’enogastronomia della regione ha

notevole pregio ed è rinomata e apprezzata ovunque.

Dall’alto delle colline si può vedere il lento correre del grande Fiume, sullo sfondo le risaie del Vercellese.

Arriviamo a Ponte della Becca, un nome, dei ricordi, ogni qualvolta il Po è in piena per noi abitanti delle zone più a valle è un segnale da guardare con attenzione, l’architettura postbellica in ferro è molto affascinante, nei pressi un bersò con le sedie accatastate ci ricordano che questi sono luoghi di incontro dove la gente si trova per “mangiate conviviali” e per passare serate nelle lunghe estati Padane.

Lentamente passando paeseni e luoghi ameni arriviamo nell’Otrepo Pavese, Bosnasco è la collina più vicina al grande fiume, qui si producono grandi vini, ci fermiamo per visitare una cantina artigianale dove una famiglia con amore va alla ricerca di antichi sapori. Dai colli sullo sfondo si vede il grande fiume che scorre, dopo esserci inebriati di vino e di Collina, ritorniamo a valle la pianura ci aspetta. Dopo questa breve divagazione ritorniamo subito nella pianura dove le uniche colline sono quelle degli argini maestri.

Le aree golenali sono da sempre utilizzate per feste post pesca o caccia, e qui sorgono delle costruzioni vernacolari, fatte con tutto ciò che si può utilizzare costellano le rive del grande fiume, tristi quando si trovano vuote ma piene di gioia quando ci si trova a bere e raccontare le grandi storie fantastiche di pesci grandi come squali o altri animali epici sfuggiti per un soffio.

Il maiale è il re di tutta l’area padana, abili norcini appena inizia la stagione fredda girano per le cascine per celebrare il rito della Maialatura.

Dal piacentino al modenese tutta la riva destra del Po è terra di Parmigiano Reggiano, tutte le mattine nei caseifici si ripete il rito di produzione del re dei formaggi, mani esperte e forti ripetono gesti imparati spesso dai genitori o da abili maestri casari, il lavoro è duro sempre meno giovani si avvicinano a questo lavoro.

Tra i prodotti eccelsi della pianura spicca anche l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, un prodotto di altissima qualità, invecchiato per anni secondo un severo disciplinare.

La storia documentata dell’aceto balsamico reggiano risale al Rinascimento, periodo a partire dal quale risale la

tradizione, prima nobiliare poi borghese, di coltivare un’acetaia familiare in cui invecchiare il mosto cotto di uve locali.

La zucca è coltivata in tutta la bassa Mantovana e Cremonese, cucinata a dovere si estrae la polpa per i tortelli, uno sono tra i piatti più succulenti della bassa padana, è impossibile abbandonare questa zona senza aver prima assaggiato un piatto di tortelli conditi con burro e parmigiano. Ottima anche la divagazione con il condimento con la mostarda.

Il termine “mostarda” deriva dal latino mustum ardens, preparazione piccante in cui vengono utilizzati semi di senape pestati. L’origine della mostarda si può far risalire al 1300, inizialmente, nasce come prodotto di lusso: ce ne riportano notizia alcuni documenti gonzagheschi che testimoniano la presenza di questo alimento sulla mensa dei signori di Mantova.

Il suo uso popolare, grazie alla maggiore fruibilità di zucchero e senape, si diffonde sopratutto a partire dal 1600 presso le famiglie contadine dell’Italia settentrionale che ne fanno largo consumo prevalentemente intorno al periodo delle feste natalizie.

Andando verso la foce non dimentichiamo di degustare la famosa anguilla di Comacchio e perché no anche il pesce gatto fritto!

Prima di andare in mare troviamo le Sacche, zone di acqua salmastra dove vengono allevate cozze e vongole.

La Cozza di Scardovari è allevata all’interno di un’area di 12 ettari all’interno della Sacca degli Scardovari in aree aventi un’estensione complessiva di 1600 ettari. Qui le cozze si allevano in impianti galleggianti (off-shore) con sistemi di allevamento in sospensione.

Come in ogni viaggio la valigia dei ricordi è piena di persone, luoghi, suoni, profumi e Sapori, ancor di più in questo itinerario dal quale portiamo dei bellissimi ricordi di sapori di piatti cucinati con amore non dimenticando il passato.

Vorrei chiudere questo l’articolo con una riflessione del grande Cesare Zavattini, penso che possa racchiudere tutto l’animo del grande Fiume.

“Si discorreva delle gazzose durante l’assonnato vagare in cerca di una strada smarrita coi versi delle faraone e dei tacchini alle spalle; imprecavamo contro le giunte municipali che non aggiornano la segnaletica, finché stanchi del parlare male degli altri, ci chiudevamo in un bozzolo da cui nel silenzio usciva la crisalide della malinconia. Ho sempre creduto che la malinconia fosse originaria del Po. E che altrove si trattasse di imitazioni. Io mi sono evidentemente imbevuto di questo stato d’animo”. Zavattini

 

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